TRA I 20 RISTORANTI CON LE MIGLIORI CARTE DEI VINI IN ITALIA

Locanda Aurilia è stata selezionata tra i ristoranti italiani che brillano, oltreché per il cibo, per una carta vini impagabile. Ciò che è stato riconosciuto e premiato è l’assortimento ampio, ben illustrato dalla competenza del sommelier, il rapporto qualità prezzo e l’identità nei singoli vini, che prescinde da premi e riconoscimenti.

Il vino proposto dice molto della personalità di un ristorante, capace di trasformare un pasto in un percorso memorabile.

https://www.dissapore.com/ristoranti/ristoranti-italiani-con-la-migliore-carta-dei-vini/

I VINI DEL FUTURO: GLI ESPERTI DICONO

Sono milioni le persone che hanno già fatto almeno una esperienza turistica legata all’enogastronomia e il fenomeno è in crescita esponenziale perché nel tempo si sono ampliate le spinte e le motivazioni al viaggio. Dal solo prodotto l’attenzione si è spostata sulla complementarietà dell’offerta di ciascun territorio fatta di gastronomia, eventi culturali, cura del paesaggio, capacità di accoglienza. Oggi la differenza la fa l’abilità nel far sentire il visitatore parte del ‘tutto’. Per fare sì che tutto questo avvenga, occorre un intermediario, qualcuno che conosca bene sia il territorio con tutto quello che di bello ed evocativo ha da offrire, sia i prodotti con la loro tradizione, storia e peculiarità. Qualcuno capace di fare percepire il meglio e di fare in modo che ogni turista traduca la sua percezione in un’emozione positiva, intensa e duratura che lo spinga a divenire, a sua volta, ambasciatore dei nostri prodotti tipici e tradizionali. Una nuova figura capace di porre al centro di ogni evento ciascun ospite, in grado di guidare il turista in modo inedito in viaggi sensoriali divertenti e coinvolgenti, fatti di cose serie proposte in modo ludico e accattivante.

Questo è il Narratore del gusto. Ferdinando è uno di loro.

Tra le varie attività qui sopra un’intervista relativa a quali saranno le caratteriste dei vini del futuro.

La locanda Aurilia di Loreggia al Padiglione di Eataly Expo a rappresentare la cucina veneta.

Ferdinando e Osorio De Marchi della Locanda Aurilia hanno preparato il "Risotto con le frattaglie di pollo allevato a latte e miele" presso la tenuta Fontanafredda di Serralunga d'Alba.

Recensione 1

Locanda Aurilia: Hotel, Ristorante, Enoteca in Padua, Italy. On our recent trip we had to rent a van to accommodate 8 of us. It was a very scenic drive from Venice to Padua. Our driver Michele Roppa was informative and entertaining. When it came to dinner time, he suggested a place that was out of the way. He was friends with the owner of the hotel. He quickly called him up to make a reservation. We looked forward to it as this was no ordinary restaurant. It has been run by the same family since 1952 though the place has been there for 150 years and was previously a tavern with a stable.
As soon as we arrived, we were greeted by the owner and sommelier Ferdinando as he whisked us over his very impressive wine cellar. He has won multiple awards for some of his collections. He had prepared some appetizers; Crostini Baccala (cod) with anchovy, olives, cheese freshly carved from the wheel and tendon of the an extremity of a cow with tripe which we all tried….”when in Rome….” this also translates to ” when in Padua…” it was unusually good. The texture was like mochi though it was not sweet. It went well with the Prosecco he poured for all of us. After we checked out the various wines for all occasions, Ferdinando led us to the dining room upstairs.

Recensione 2

Ci troviamo nell’alta padovana lungo quella che un tempo fu la via Aurelia.
In una delle sue ultime curve prima di incrociare la consorella Postumia, un pò più a nord, lì si trova la Locanda Aurilia.
Certo, non è antica come la via centuriona che ne ha ispirato il nome, ma la Locanda della Famiglia De Marchi, oramai, da tempo, è presente con solida professionalità negli archivi di palato, indigeni e foresti, dal dopoguerra sino ai giorni nostri
La recente ristrutturazione non ne ha, tuttavia, alterato il dna. Ancora adesso, entrando, dietro il bancone del bar si vedono, in un angolo, le bocce vuote di una collezione completa di Sassicaia.
Il corridoio tra le tre sale a’ manger conserva tuttora le foto b/n di famiglia e di paese che sembrano tratte da un documentario di Mario Soldati.
Era diversi anni che non ci tornavamo, tuttavia poco è cambiato, a cominciare dal suo patron e front man, Ferdinando De Marchi. Fisico minuto, baffo composto, occhio vispo.
Tamburelliamo un po’ sulla Carta, incerti sul da farsi, alla fine scegliamo il percorso indicato dalla casa con due tre personalizzazioni.
Idem dicasi con il potus. La Whine Chart parla da sola della storia e della passione che c’è tra queste mure, tuttavia, anche qui, preferiamo il “faccia lei”, anzi, “ci porti quello che piacerebbe a lei, se fosse
seduto al nostro posto”.
Iniziamo slow, con degli Straccetti di gallina, sedano croccante e una salsa di rafano e mela.
Un piatto semplice, della porta accanto in cui, comunque, vi è un tocco lieve, acidulo, nella salsa che non lo fa passare inosservato.
L’abbinamento è intrigante, con un sorprendente Incrocio Manzoni Bianco; il produttore, per noi, era un carneade fino a poco pria, tale Bonollo, di Fara Vicentina, terra eletta di beccacce allo spiedo.
Buona mineralità, asprigno q.b. con toni fumé sui titoli di coda spalmati su 6000 bt. x 14.5°. Un mix vincente, bravo De Marchi, l’hai azzeccata anche stavolta.
Tirem innanz con dei Nervetti e Patate bollite. Anche qui prosegue la guideline della casa. Ingredienti semplici e preparazioni conseguenti, con un piccolo tocco in più, che è rappresentato, in questo caso, da una salsa verde diversa dagli stereotipi consolidati. Buono l’ Olio dei Colli Euganei.
Si cambia marcia, non tanto in tema di piatti o abbinamenti, ma perché con il Ferdi si comincia a giocare a quattro mani.
E’ divertente, ogni volta va a finire così.
Leggete negli occhi del malcapitato di turno (in questo caso l’oste) il busillis ben mascherato “ma chi sarà sto qua? un ghiottone errante? Uno della finanza ? un giornalista?”.
Nel mentre si appropinqua la Trippa d’ordinanza, il Sommelier autoctono si propone al meglio, todo modo, come si fa agli esami di maturità, cosa, per chi fa questo lavoro, costante e quotidiana.
“Potremmo metterci un Gutturnio…” (ne andiamo pazzi, n.d.r.), “Uhm, quale?” – “La Stoppa” – ” mmmh” “oppure un siciliano, un Frappato per esempio” – “cioe’ ?” – “Occhipinti”.
Ok vecio, ho capito: Triple A c’est ici, ma andiamo di autoctono, lo sapevano già prima che eri bravo.
A Triple A ci si arriva, ci arrivano tutti con il dané o qualche buona lettura; tu sei un cane da tartufo, non ti servono guide e consorzi eletti, viaggiamo quindi di territorio.
E infatti il Tocai rosso di Piovene Porto Godi c’è. Presente e immantinente versato al calice col baffo compiaciuto.
Dicevamo della Trippa.
Per noi trevisani si costuma neutra, in broda, ubriacata di parmesan e la pummarola ci va or not, dipende.
Qua siamo tra “Padovani gran Dotori”, e quindi viene presentata nella versione nobile, asciutta, in bianco con foglie di menta.
Trippa e Tocai Rosso. Heaven can wait Club, ca va san dire.
Si tocaizza pure, autoctoni e contenti, con una Minestra di Farro, legumi vari e Asiago mezzano.
Come nello stile della casa, un piatto della nonna, ma di una nonna che viaggia con l’ ipod di una modernità ben temperata.
Arriva il Gran Bollito (e, con lui, una performante Barbera 2005 dell’oltrepò pavese, targata Albani 2005).
È come alla Sagra del patrono: c’è veramente di tutto e di più. Gallina, Musetto, pii bovi, anzi, manzi che si declinano con le di loro guance, lingue, e altri tagli di bollito eletto.
Contorno adeguato: Cren, Salsa green, Cipollotto e, tanto per stare nel “tocco in più”, un broccoletto romano che ci è stato simpatico assai.
Bene, anche questa Cannonbal in salsa nordestina sta volgendo al desio.
Ferdi De Marchi è una persona vera, uno di quegli stramaledetti – come noi, che non siamo giornalisti, ma banali solisti del trapano – che crede tremendamente nella sua mission, una mission che vive da uomo del suo tempo (Occhipinti, Scolca parlano per lui), ma che non smette di fare il cane da tartufo, di passare il suo tempo libero lavorando in giro per i meridiani e paralleli del suo territorio a cercare
altrettanti pazzi come lui.
Beh, uno ce l’ha vicino, il fratello Osorio, dal nome tanto improbabile, quanto perfetto interprete di una filosofia della buona accoglienza trasmessa dalla famiglia, nel caso l’arzilla mamma, ora 90enne, che non manca, ancora oggi, di fare la sua capatina giornaliera nella locanda che ha preso il nome dalle antiche strade consolari.
Dicevamo di Baffo tartufo.
In effetti, il carrello dei formaggi ne è esempio preclaro.
Poche cose, ma in rapporto al target market del locale, altri loci di ben altre aspirazioni e collocazioni blasonate potrebbero venir qui con il cappello tra le mani.
È vero, c’è il Castelmagno (quello doc.dop.igt), il Cabrales e altre due tre robe, tanto per non sfigurare, ma c’è anche altro.
Eccoci allora presentare una Pecora camosciata vicentina; una “Toma persa” sicula dal dna capro vaccino; un Vezzena 28mesato ma, soprattutto, un “Castelmagno trevisan”, ossia un cacio fatto strano, dalle parti di Conegliano, da una coppia, tanto stagionata quanto affiatata, il cui marito, sino all’altro ieri, era uno stimato camionista …
Per quegli insonni che scelgono come valium le nostre consecutio, un po’ parente del “Castel” che si trova alla Locanda Condo, ma n’altra roba.
Sui Dessert deragliamo virtuosi.
Se il percorso degustazione prevedeva Strudel con Vaniglia (peraltro integerrimo), ci facciamo volutamente traviare da un Tortino caldo di farina maraneo (vicentina) con frutta.
Per carità, da Perbellini, Biasetto, Alajmo sicuramente si proverebbero equilibri più avanzati, ma qua non hanno nulla cui muovere una nota con matita rossa o blu.
F.D.M. (Ferdinando De Marchi, oramai il “fogliese” fa tendenza) ci promuove sul campo.
Dopo i reiterati “faccia lei”, “faccia finta di essere lei al nostro posto”, ci apre il suo cuore che passa per la cantina.
Bottiglia anonima, no label.
Degustazione alla cieca.
Al naso si percepisce Cabernotto, ma c’e’ anche altro.
Ebbene, la storia. E’ un mix di Cabernet e Marzemino che il pater familias di una agricola coneglianese si inventò tra il 1990 e il 91. Poi il vecchio morì, i figli non riuscirono più a replicare il miracolo alchemico
e, quelle 200 bottles, prototipi fuoriserie, sono state sequestrate qua, tra amore e passione, dal De Marchi Aurilio.
Anche la Grappa di Clinto’n, volendo, è una chicca custodita senza etichetta che bisogna conquistarsi sul campo.
Spesso, in tema di ristorazione, si scontrano le scuole di pensiero più varie.
Territorio. Cucina d’ Autore. Stelle, striscie & cabaret.
La Cucina è un’ opera d’arte che, però, fatalmente, nel 99.9% dei casi, deve confrontarsi con la realtà: una realtà composta da una clientela mutevole e dalle periodiche velinate del commercialista (della serie, i bilanci hanno le loro esigenze, non siamo alle partecipazioni statali).
Non è facile conciliare tante e tali variabili.
Non è facile se questo lo deve fare un autentico appassionato che sa come si potrebbe fare l’una o l’altra cosa.
L’Arte, per l’appunto, sta nel comporre una propria personale quadratura del cerchio.
Ecco, quindi, la scelta della ricerca della filiera, che si abbina alla cucina del territorio che, a sua volta, si marita appieno con una cucina della nonna del terzo millennio sinergica ad una cantina senza tempo, ma che sa che i tanti piccoli e mille sassicaia, qua in Enotria, bisogna un pochettino anche andarseli a cercare, cum motu proprio, senza aspettare gli incipit delle guide o le strizzate d’occhio dei vari rappresentanti “illuminati e disinteressati”.
Osorio e Ferdinando De Marchi, con la loro Aurilia, questo lo sanno fare.
C’è solo da augurarsi che la loro mission venga raccolta, come loro fecero a suo tempo, da nuove generazioni che, con la saggezza e la consapevolezza dei padri, sappiano aggiornare ai nuovi millenni quella che, in fondo, è la regola prima in questo settore: “offrire la piacevolezza dello star bene a tavola, con virtute e conoscenza”.

Questo articolo è stato inviato via web dal servizio gratuito http://www.newsland.it/news.

Recensione 3

Carissimi vi ringrazio ancora una volta per la bellissima serata che siete riusciti a realizzare. Ho trovato persone educate ed attente che hanno valutato con attenzione i vini ed espresso opinioni sincere.

Ho trovato un’accoglienza genuina per parte vostra e loro.

Ma soprattutto ho riscoperto il piacere di vedere una famiglia intera al lavoro per fare sentire il cliente al centro dell’attenzione, non esaltato ma compartecipe della vostra identità. Grande cucina, grande sala e tanta passione e professionalità.

Grazie ancora, spero che presto io possa cercare di ricambiare avendovi in visita in Tenuta.

Alessandro Marengo

Riconoscimenti

“Ein sympathischer Familienbetrieb mit Herz, Küchentradition und hauseigener Vinothek. Hier werden Nieren und Kutteln nach traditioneller Art zubereitet oder Sepie al nero angeboten.”

“Una simpatica azienda a conduzione familiare con amore, tradizione culinaria ed enoteca”.

Locanda Aurilia è stata citata non soltanto nelle guide nazionali ma anche internazionali come Falstaff, guida austriaca pubblicata per la prima volta il 17 marzo 2005. I ristoranti vengono visitati e valutati dai membri del Gourmet club. Si possono trovare in questa guida dai migliori indirizzi culinari alle nuove aperture più innovative, dai classici di vecchia data alle punte degli esperti ben lontane dai sentieri ben battuti della cucina.

accademia-italiana-della-cucinaLocanda Aurilia ha ricevuto il Diploma di Buona Cucina,
riservato ai ristoranti di cucina italiana, in Italia e all’estero, che operano nel rispetto della tradizione e della qualità e che siano inseriti in almeno due edizioni della “Guida ai Ristoranti”, con un minimo di 3 tempietti. 3-tempietti

L’Accademia Italiana della Cucina è nata – naturalmente a tavola, come accade spesso per le cose importanti – quando un gruppo di amici, riuniti a cena il 29 luglio del 1953, ascoltarono e condivisero l’idea che Orio Vergani perseguiva da tempo: quella di fondare un’Accademia col compito di salvaguardare, insieme alle tradizioni della cucina italiana, la cultura della civiltà della tavola, espressione viva e attiva dell’intero Paese.

I personaggi raccolti attorno ad una tavola dell’Hotel Diana di Milano – qualificati esponenti della cultura, dell’industria e del giornalismo – credevano tutti che la cucina non fosse cosa di poco conto, ma degna delle migliori cure da parte di ogni uomo intelligente e colto.

La cucina è infatti una delle espressioni più profonde della cultura di un Paese: è il frutto della storia e della vita dei suoi abitanti, diversa da regione a regione, da città a città, da villaggio a villaggio.
La cucina racconta chi siamo, riscopre le nostre radici, si evolve con noi, ci rappresenta al di là dei confini. La cultura della cucina è anche una delle forme espressive dell’ambiente che ci circonda, insieme al paesaggio, all’arte, a tutto ciò che crea partecipazione della persona in un contesto. È cultura attiva, frutto della tradizione e dell’innovazione e, per questo, da salvaguardare e da tramandare.
Civiltà della tavola vuol dire prima di tutto civiltà e cioè l’insieme di usi e costumi, di stili di vita, di consuetudini e di tradizioni degli uomini che li condividono. E civiltà del gusto, di quel senso preposto al piacere della tavola – quel gusto capace di affinarsi, di perfezionarsi, di riscoprire sapori perduti e di tentare il palato anche con il nuovo – vuol dire l’insieme dei valori che anche attraverso la tavola un popolo si tramanda, rinnovandoli continuamente, e che ne costituiscono l’identità culturale. Salvaguardare il gusto, quindi, diventa un elemento essenziale per la difesa non solo della civiltà della tavola, ma dell’identità stessa di un popolo.